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Condividiamo il documento stilato durante la Summer school di AssociAnimazione e Ninfea, che si è tenuta all’Isola d’Elba dal 3 al 6 settembre 2021.

L’Elba ci ha permesso di unire lavoro e contemplazione di un contesto che ha facilitato la ricerca e l’incontro.

Sono stati giorni di confronto e studio per elaborare un documento da sottoporre alle rispettive basi associative e che ha l’intento di continuare la riflessione sullo youth work e sugli youth workers.

Consapevoli e coinvolti nei molti, veloci, e strutturali cambiamenti che stanno trasformando, il più delle volte in modo imprevedibile, le configurazioni politiche ed economiche, psicologiche e tecnologiche, etiche e spirituali dei nostri vissuti, registriamo un passaggio in cui mutano profondamente gli schemi di riferimento, i linguaggi, e le relazioni, e insieme a sentimenti di insicurezza e di incertezza, come se il suolo franasse sotto i nostri piedi, pensiamo di dover abitare questo presente contribuendo a costruire un, per quanto incerto, futuro possibile.

Abbiamo provato a individuare alcune piste di lavoro per gli animatori e alcune condizioni imprescindibili. Ne è uscito un documento di cui vogliamo parlare con i nostri soci per verificarne utilità di mappa per attraversare questo tempo.

Non vediamo l’ora di incontrarci e procedere.

Riflessioni sull’operatore ibrido e spazi di ibridazione

Premessa

Avvertiamo da tempo di essere dentro una transizione lunghissima che comporta il progressivo slittamento da un paradigma di lavoro sociale ed educativo/animativo che mostra la sua inadeguatezza ad un altro/altri di cui si intravedono alcuni elementi ma non la sua/loro compiuta formulazione.

Siamo in una terra di mezzo tra curiosità e fascino per la ricerca e incertezza e transitorietà degli approdi.

In questo senso la necessità di produrre ipotesi di lavoro che contemplino strutturalmente il dialogo e prevedano continue falsificazioni delle costruzioni condivise ci si presenta come inevitabile e ci fa pensare a questo documento come l’esplicitazione delle aspirazioni/intuizioni che ci permettono di procedere nel cammino considerando le affermazioni proposte in un processo che progressivamente va ad affinarsi. Nulla di definitivo, ma al contempo segno di un’urgenza di mappe e bussole per potersi orientare.

103. La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. 104. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi. Che senso può avere in questo schema la persona che non appartiene alla cerchia dei soci e arriva sognando una vita migliore per sé e per la sua famiglia? (“Fratelli tutti” Enciclica di Francesco)

Questa citazione intende definire una cornice entro la quale intendiamo muoverci. È il tempo di ragionare sul tema della fraternità e del dialogo sociale come presupposti per la costruzione di una società che corrisponda maggiormente alle aspirazioni di molti. La questione principale del nostro lavoro di educatori è l’impegno a ricostruire, nuovamente, contesti di fraternità e non essendo un esito che si possa improvvisare, non accadendo più in modo naturale, abbiamo bisogno di organizzare un movimento importante di condivisione e azione coerente.

Esistono diffuse una voglia di comunità e una richiesta di ricucire, di riorganizzare i legami sociali a fronte di una frantumazione e di una disgregazione del tessuto sociale  frutto delle  patologie di questo tempo. Da una parte constatiamo la presenza dell’esaltazione dell’affermazione/espressione di sé ad ogni costo e al contempo registriamo come l’affermarsi di  questo individualismo apra un vissuto al tempo stesso di onnipotenza e di fragilità, di illusione e di paura, di conoscenza e di incertezze.  Come se da una parte si affermasse, inebriati, la bellezza di essere liberi e al contempo si evidenziasse lo spaesamento, lo smarrimento con la paura e l’incertezza che si accompagnano come compagne indissolubili, portano nelle nostre vite. Al contempo vediamo manifestarsi come reazione, il rafforzarsi di un orientamento ad organizzarsi in comunità arroccate nella difesa di sè, che si proteggono chiudendosi. Occorre quindi ragionare su come ricostruiamo una fraternità, dei legami sociali sotto lo stress che queste due spinte impongono. Riteniamo questa un’esigenza che da forma al lavorare con i giovani.

Questi ultimi due anni hanno messo in evidenza e, talvolta, accelerato processi di crisi già in essere nelle politiche giovanili e delle sue traduzione all’interno dei dispositivi territoriali riconoscendo come gran parte dei modelli precedenti siano oramai non più rispondenti alla situazione o che abbiano dimostrato il loro fallimento.

Questo documento vuole poter identificare alcuni elementi che possano descrivere lo youth worker da oggi in poi insieme al  definire una visione di polis e un’ipotesi di futuro che possa guidarne/ispirarne l’azione. Il contesto sociale e di comunità è profondamente cambiato.

Le organizzazioni sono più fragili e non svolgono più un ruolo di filtro come succedeva prima.

Alcuni Irrinunciabili che, dentro la cornice di cui sopra, ci appaiono caratterizzanti il metodo di lavoro e l’identità dello youth worker in questa fase ci sono parsi:

  • la capacità di attivare processi di ibridazione
  • la consapevolezza dell’importanza di avere una propria visione del mondo e dell’essere umano per individuare strategie di cambiamento coerenti
  • la scelta di abitare i territori come luoghi dove possa avvenire un dialogo sociale reale

Tenere aperto il possibile / aprire a mondi possibili

E’ in gioco, da una parte, la capacità di rendere visibile l’atto di resistenza davanti al ripiegamento di una possibilità, ovvero la capacità di non perdere la fiducia di fronte ad una possibilità che si chiude:  “I giovani ci guardano e imparano da noi non tanto quando apriamo una possibilità insperata, ma quando la difendiamo nel suo finire, sapendo che si presenterà in altra forma e ci costringerà a fare ciò che vogliamo anche se non siamo in grado[1]” (V.Pellegrino)

Dall’altra è in gioco la capacità di allestire campi di esperienza che sono orientati ad aprire mondi, moltiplicando le possibilità individuali dei soggetti in formazione e transizione esistenziale. L’apertura dei mondi, in questa prospettiva è una struttura profonda dello youth working: non è semplicemente qualcosa che dobbiamo desiderare, ma che, prendendo posizione possiamo riconoscere, ampliare, valorizzare. Hai la possibilità di abitare mondi possibili quando sei messo nelle condizioni di attraversare un campo di esperienza che ti conduce oltre quello che sai e che sei, facendoti scorgere e sperimentare una possibilità: sono innanzitutto mondi possibili per te

Crescere oggi – forse mai come oggi – significa varcare soglie, attraversare la propria linea d’ombra, disporsi a sconfinare. La liquidità per chi è alle prese con la ricerca del proprio appuntamento con il mondo non è semplicemente una categoria sociologica ma una condizione interiorizzata per fare i conti con la complessità. In questo senso l’ibridazione è al tempo stesso una competenza adattiva e trasformativa: è la curiosità verso l’altro come occasione di potenziale arricchimento, è la refrattarietà alle compartimentazioni e alle identificazioni rigide, è l’esercizio di una forma di libertà. Guardando alle componenti più intraprendenti delle nuove generazioni incontriamo l’ibridazione nei luoghi che vivono e animano con intensità, nelle esperienze che producono senso, così come nel modo di costruire relazioni interpersonali.  Ad essere spiazzati sono gli antichi confini tra impegno e piacere, tra formazione e lavoro, tra gioco e conoscenza: tutto tende a mescolarsi, a sovrapporsi, in un ambivalenza che non viene mai del tutto risolta, ma che viene vissuta come occasione per produrre significati. Per certi aspetti la capacità di ibridare segna anche un nuovo indicatore delle disparità sociali: chi non si contamina, chi non esce dalle proprie zone di comfort, chi tende ad identificarsi in modo rigido, appare sempre più destinato ad una condizione di minorità e di marginalità, mentre chi è poroso e aperto all’alterità, chi si nutre di densità relazionale e culturale, chi è capace di combinare dimensioni differenti, sembra sempre di più attrezzato alla contemporaneità.

Per queste ragioni pensiamo al profilo di un operatore ibrido come prospettiva ineludibile per fare youth work: per sintonizzarsi con ciò che muove all’azione, all’impegno, alla scoperta e alla ricerca, riconoscendo la condizione giovanile come biodiversità in costante movimento.

Innovazione ed ibridazione

Quando nomino una cosa è già finita.

L’Innovazione sociale oggi è un tema che anima molto il dibattito nello youth work. Sia nella direzione di essere diventata una parola chiave mainstream per ogni progettazione sia nella ricerca sincera e appassionata di individuare percorsi coerenti con il mutare dei tempi e delle condizioni delle giovani generazioni.  Una domanda che ci dobbiamo porre è se l’innovazione sia davvero inclusiva per sé. Il rischio che osserviamo è che ogni innovazione generi una quota di esclusi dall’innovazione stessa.

Dal nostro punto di vista lo youth work dovrebbe includere innovando: ogni forma di innovazione, senza attenzione all’inclusione, sarebbe una forma di esclusione. Anzi, lo youth work dovrebbe ambire ad un’innovazione di come pensiamo e sosteniamo processi di inclusione: i modi e gli strumenti che abbiamo usato finora possono non rispondere più ai bisogni diversi ed ai contesti sociali mutati dalla pandemia.

In questo senso innovare non significa aumentare o/e stratificare competenze dell’operatore o delle organizzazioni, ma promuovere l’attivazione di processi di ibridazione.

L’ibridazione ha in sè la possibilità di generare innovazione, poiché ogni volta che si entra in contatto con soggetti esterni al contesto/organizzazione, la mancata conoscenza delle modalità di azione e della cultura già sedimentata nello youth work favoriscono l’introduzione del cambiamento (Miles 1964).

La possibilità di esistenza di una innovazione è, infatti, frutto di complesse reti di gruppi, individui e organizzazioni. Uno dei fattori importanti da tener presente è l’interdipendenza dentro queste reti, dove a volte si creano delle lotte di potere tra istituzioni che, sebbene possano non entrare nel merito dell’innovazione stessa, hanno un effetto sulla sua adozione (Frabboni 1999).

Lavorare con gli scarti tra differenza ed ibridazione

Per attivare processi di ibridazione è generativo lavorare con gli scarti, ovvero lavorare con quello che appare marginale.

Alla pratica diffusa del pensare per differenze François Jullien suggerisce quella di pensare per  scarto: «fare uno scarto significa uscire dalla norma, procedere in modo inconsueto, operare uno spostamento rispetto a ciò che ci si aspetta e a ciò che è convenzionale. In breve vuol dire rompere il quadro di riferimento e arrischiarsi altrove, temendo altrimenti di arenarsi».

Lo scarto non è qualcosa di diverso, ma è qualcosa che apre una distanza.  Apre una condizione di esplorazione: un concetto che apre alla differenza- Lo scarto rimanda al tra mentre la differenza rimanda al inter.

In questa prospettiva, il lavoro con i giovani si colloca pienamente in un lavoro tra che non si pone alcuna finalità di classificazione ed apre alla possibilità di creare spazi nuovi.  Non è quindi a partire dal simile, come si crede in genere, ma proprio facendo lavorare degli scarti, dunque attivando del “tra”, che si può dispiegare una alterità in grado di far emergere qualcosa di comune. Un comune efficace si ottiene solo al prezzo di accettare possibili ibridazioni. Bisognerà tenerlo ben presente in quest’epoca di globalizzazione, quando il rischio di assimilazione minaccia ogni cosa e ogni luogo. La prospettiva interculturale porterebbe a fissare delle identità e quindi a creare delle differenze. Questa prospettiva apre ad un modo di stare nell’idea dell’ibridazione che tiene aperte le prospettive di ricerca e che risponderebbe meglio ai bisogni di oggi dei giovani.  Infatti, le società e la cultura sono  fluide, in continuo mutamento, in perenne trasformazione. Per mantenere viva l’analisi culturale è dunque necessario abbandonare il concetto di differenza, perché «parlare della diversità delle culture nei termini di differenza disinnesca in anticipo ciò che l’altro dell’altra cultura può apportare di esterno e di inatteso, al tempo stesso sorprendente e sconcertante, disorientante e incongruo. Il concetto di differenza ci colloca fin dall’inizio in una logica di integrazione – di classificazione e di specificazione – e non di scoperta. La scoperta non è un metodo avventuroso». Fare il mediatore o lo youth worker non vuol dire fare il TRA, ma piuttosto creare spazi di incontro dove lo spazio non è nè il mio nè il tuo. 

Youth worker arriva sempre un po’ in ritardo agli appuntamenti e tiene aperta la possibilità per un’altra festa.

Ibridazione, dunque,è un incontro che prevede la disponibilità all’alterazione, a farsi modificare dall’altro ed a modificare l’altro. Un percorso di ibridazione mette in gioco sistemi diversi permettendosi di alterare anche i propri sistemi. In questo senso, lo youth worker non è forzosamente colui che apre nuove possibilità, ma tiene aperte le possibilità affinché si possano creare incontri e contaminazioni, ibridazioni. Lo youth work apre spazi di ibridazione ove avvengano cambiamenti possibili: si configura come attivatore di processi di ibridazione e di alterazione dei contesti, degli attori e delle proprie identità. Un processo di ibridazione comporta un livello di incertezza più alto rispetto ad altre situazioni di cambiamento, perché la gestione del processo è imprevedibile e mette in campo variabili molto diverse tra di loro L’operatore dell’ibridazione lavora in contesti di incertezza molto alto e di grande fragilità. Operare e promuovere ibridazione nei contesti sociali quindi vuol dire saper abitare questi spazi di confine e sicuramente supera le sole competenze del singolo youth worker .

Dialettica tra identità ed ibridazione

Lo youth worker non sta sulla strada segnata.

Il quadro delle competenze ci identifica un quadro di riferimento importante per la crescita dell’operatore, ma non deve diventare limitante ed unico.

La dialettica tra identità professionale e personale è un elemento di forza che ci da struttura rispetto al percorso di ibridazione possibile e ci fa uscire dall alternativa, dalla questione o/o. Non ci deve bloccare da questa dialettica sull’identità: non riuscire ad essere identificato è il suo punto di forza. Lo youth worker come attivatore di processi di ibridazione è anch’essa una figura ibrida che è competente nel riconoscere i bisogni dei diversi contesti così come la necessità diverse di ibridazione possibili della comunità locale.

Co-costruire nuove istituzioni ibride contemporanee[1] 

Le istituzioni possono posizionarsi diversamente, identificando due dimensioni, la volontà di apertura e la consapevolezza possiamo descrivere 4 situazioni:

Quanto un’istituzione vuole essere aperta? Quanto sono consapevoli dei cambiamenti che sono immersi?

  • bassa consapevolezza e chiusura che porta verso un’estinzione delle istituzioni
  • alta consapevolezza ed una chiusura ovvero quelle istituzioni che vivono per adempimenti amministrativi. Svolge quello che è il proprio compito in modo burocratico. La situazione del comune potrebbe essere quello dell’anagrafe e dei vigili urbani: se stiamo ragionando in un’ottica di istituzioni che svolgano da stimolo ai territori, questo atteggiamento è fortemente problematico
  • bassa consapevolezza e volontà di istituzione aperta ovvero scenario di sperimentazione con processo di coprogettazione etc ma tutto questo non viene messo a sistema e non viene messo in relazione a tutto quello che succede.
  • consapevolezza e volontà di essere aperta ovvero un’istituzione che prova ad innovare i processi del pubblico progredendo verso un’amministrazione condivisa. All’interno di questo ambito potrebbe essere interessante collocare lo sviluppo delle politiche giovanili.

Le politiche giovanili possono contribuire a generare cambiamento provando a far evolvere le istituzioni promuovendo processi di empowerment e di engagement dei giovani, rilanciando così i processi democratici.

La finalità delle politiche giovanili: in un momento di cambiamento tenere bloccate le istituzioni è un problema per le persone e per i processi democratici

In questa direzione appare fondamentale affrontare alcune sfide che potrebbero permettere anche un’evoluzione della figura dello yotuh worker:Sfide:

  • contribuire alla creazione di creare architetture istituzionali capaci di abitare le “terre di mezzo”. Questo significa costruire : costruzione di luoghi intermedi dove sia possibile l’improvvisazione e la generazione di politiche differenti. questo permette di generare delle politiche differenti
  • evitare l’uso politico dei giovani costruendo setting dove possano essere soggetti attivi e produttori di conoscenza.: interpretare i giovani in modo diverso. Provare ad immaginarsi dei soggetti che siano in grado di sviluppare conoscenza
  • rilanciare le vocazioni territoriali entro le quali i giovani possano costruire le proprie traiettorie esistenziali. Per questo lo youth worker deve avere la capacità di rilanciare le narrazioni territoriali e porsi in continuo dialogo con il contesto locale.: rilanciare le narrazioni dei territori, collocarsi all’interno di un contesto locale. Capacità di leggere il territorio e di restituirne una lettura.
  • Accettare e, in alcuni casi, stimolare il conflitto in quanto elemento di innovazione e di democraticità dei sistemi. Accettare il conflitto per innovare: le In questa direzione le istituzioni istituzioni possono giocare un ruolo abilitante dei cittadini e in particolare dei giovani. Possono ridisegnare il “campo da gioco” in maniera maggiormente inclusiva, tutto questo è una strategia che ha l’obiettivo di assumere le disuguaglianze territoriali come elemento critico e capace di produrre innovazione all’interno della comunità.  determinare un ruolo e decidere come usare il potere che hanno. Designare un campo da gioco nuovo ed inclusivo. Questa volontà di accettare il conflitto vuol dire provare ad ottemperare la diseguaglianza sociale che c’è sul territorio.

Conclusioni

Proviamo quindi a definire l’approdo a cui siamo giunti per permettere un nuovo viaggio.

Risulta dai ragionamenti precedentemente elaborati quanto sia indispensabile a nostro avviso potenziare nel lavoro con i giovani la capacità di attivare e riconoscere processi di ibridazione avendo come obiettivo dell’ibrido la costruzione di un comune possibile.

Questa capacità si muove a partire principalmente dalla disposizione dello youth worker di individuare l’ibrido di cui è portatore e dal volerci/saperci lavorare e dall’altra parte dal facilitare l’incontro tra mondi, contesti, situazioni, persone che abitualmente non hanno occasioni di  contatto e di incontro.

In questa direzione per poter pensare dei cambiamenti nelle prassi di lavoro con i giovani abbiamo bisogno di scegliere cosa possiamo lasciarci alle spalle: volendo portarci tutto, così com’era e come eravamo abituati, non avremo spazio per cambiare. Lasciare richiede di interrogarci su cosa quelle abitudini, quegli oggetti, quei pensieri significano oggi per noi, quanto ne abbiamo ancora bisogno e perché, come possono essere modificati, sintetizzati, sostituiti, senza che questo provochi un continuo richiamo nostalgico a quando quelle abitudini, quegli oggetti e quei pensieri facevano parte della quotidianità. Giocando con le parole, possiamo dire che dobbiamo compiere tre azioni, declinate dai diversi significati che il verbo “scartare” assume nella nostra lingua. Dobbiamo fare un repentino spostamento di lato, deviare dalla direzione che sembra segnata, in modo da evitare l’ostacolo e puntare all’obiettivo. Per essere così agili dobbiamo mettere da parte, in base a una scelta, ciò che riteniamo ormai inservibile, inutile superfluo, fardello che ci attarda. Ma per farlo dobbiamo anzitutto togliere gli oggetti a cui siamo abituati dalle loro confezioni belle e rassicuranti, prenderli in mano, osservare da vicino, chiederci che significato possano avere ancora per noi e per le nostre nuove vite.

Quest’ultima accezione del verbo scartare riguarda soprattutto quei temi  che riteniamo irrinunciabili anche per questo tempo

  • l’ancoraggio alla comunità e all’immersione nei territori
  • la scelta di misurarsi con le gruppalità per lavorare con i giovani
  • il lavoro potente su di sé richiesto allo youth worker per poter reggere il “tra”.
  • l’intenzionalità orientata ad attivare setting diversi e nuovi che rendano possibili diverse e nuove azioni.
  • il puntare al dialogo sapendo che in situazioni ibride esso non è una precondizione

@nicolabasile76@gmail.com

_Assegnato a nicola basile_

Chiara

Autore Chiara

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